Autore: prof. CARRANO Salvatore
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Promuovere un rendimento esentasse e nello stesso tempo finanziare soprattutto delle imprese nazionali emergenti e promettenti, sono delle finalità sicuramente lodevoli, anche abbastanza allettanti e persino un po’ protezionistiche. Fino a trentamila mila euro l’anno, per un massimo di 150 mila euro da mettere a frutto senza subire trattenute sulle plusvalenze e, per questo, con un potenziale rendimento sicuramente vantaggioso rispetto a qualsiasi altro investimento soggetto a tassazione. Mi riferisco ai piani individuali di risparmio, i Pir appunto, dei prodotti finanziari per ora poco conosciuti, ma che stanno molto incuriosendo la scena degli investimenti privati a medio-lungo termine. Nello specifico i Pir:
- Sono Piani di risparmio individuali che consentono investimenti in azioni, obbligazioni, fondi comuni, polizze, depositi in conto corrente e altro ancora;
- Sono riservati unicamente alle persone fisiche e ogni risparmiatore può sottoscrivere un solo piano di risparmio per un investimento massimo di 150 mila euro e con importi non superiori ai 30 mila euro per ogni anno;
- Prevedono che il 70% della somma investita sia utilizzato per l’acquisto di obbligazioni o azioni emesse da aziende italiane che non operano nel settore immobiliare. Le imprese possono anche essere europee ma devono avere “pianta stabile” in Italia. Inoltre, il 30% di questo primo importo percentuale, corrispondente al 21% del totale investito, deve riguardare società non comprese nell’indice Ftse Mib. Il rimanente 30% dell’importo del piano di risparmio può essere utilizzato per l’investimento in un qualsiasi altro genere di prodotto o strumento finanziario, compresi i depositi bancari;
- Godono dell’esenzione fiscale per i redditi di capitale e i redditi diversi percepiti dall’investimento. (Casse di previdenza e Fondi pensione che investono in imprese italiane fino al 5% dei loro attivi, parimenti beneficiano della detassazione);
- Per usufruire dell’esenzione fiscale devono essere mantenuti in portafoglio per almeno cinque anni. Un riscatto anticipato è sì possibile, ma comporta la perdita dei benefici fiscali e costringe l’investitore al versamento della ritenuta sulle plusvalenze del 26% (o 12,5%) e al pagamento degli interessi per gli anni precedenti sui quali la trattenuta non è stata effettuata. Azioni e obbligazioni emesse da uno stesso ente non possono superare il 10% del portafoglio e lo stesso limite percentuale vale anche per i depositi liquidi in conto corrente;
- Avendo un taglio minimo di sottoscrizione pari a 500 euro, possono essere per i piccoli risparmiatori un investimento a vita; versando in più soluzioni, come in un piano di accumulo, 1500 euro per anno, i Pir avrebbero la durata di un secolo.
Banche, SGR e imprese assicurative sono in fermento per essere pronte, magari anticipando la concorrenza, a offrire alla clientela i nuovi prodotti. Alcuni gestori di fondi hanno già disponibili gli inediti strumenti finanziari e le compagnie assicurative c’è da scommettere che a breve lanceranno sul mercato polizze Pir. Le banche in teoria potrebbero confezionare da subito appositi conti correnti Pir e utilizzare la consistenza del deposito per investimenti in azioni, obbligazioni e altri prodotti finanziari che rispettano la normativa dei Piani di risparmio.
Non è ancora certo, comunque, che i Pir diventeranno un tipico prodotto bancario e se succederà, gli istituti di credito dovranno competere con le società di gestione dei fondi che risultano avvantaggiate nella diffusione dei nuovi strumenti finanziari. In ogni caso, le banche sicuramente si adegueranno alla domanda e appronteranno le opportune strategie per reggere la concorrenza.
La convenienza a sottoscrivere un Pir è legata principalmente all’esenzione fiscale, quindi, più alto sarà il rendimento del piano e maggiore sarà, per l’investitore, il vantaggio derivante dalla mancata applicazione della trattenuta. Se però commissioni di ingresso, di gestione e di performance dovessero risultare eccessivamente onerose, il vantaggio di rendimento si assottiglierebbe e il prodotto potrebbe perdere di attrattiva. I primi piani individuali di risparmio immessi sul mercato applicano una commissione di ingresso e una di gestione che oscillano tra l’1,5 e il 2%. Sulla performance che supera il valore di riferimento, la percentuale della commissione subisce un repentino balzo verso l’alto, addirittura fino al 20%.
Le commissioni trattenute da banche e gestori dei piani sicuramente rosicchieranno parte del vantaggio derivante dall’esenzione fiscale. Sarà da vedere se prevarrà l’ingordigia, oppure se, contando sulla quantità dei risparmi raccolti (si parla di venti miliardi in cinque anni), i gestori si accontenteranno di un equo e moderato compenso che non abbatta troppo, o del tutto, i benefici fiscali.
Alcuni operatori del settore, pur ammettendo che l’esenzione fiscale possa produrre per gli investitori un reale maggior profitto, allertano i risparmiatori sia sul rischio geografico derivante dall’obbligo di “investire italiano” e sia sulla limitata possibilità che presenta la normativa dei Pir di diversificare gli investimenti. In effetti, l’obbligo di dover sottoscrivere titoli emessi da imprese italiane per il 70%, espone i risparmiatori al “rischio Paese”, ossia a risentire di un’eventuale crisi economica nazionale che immancabilmente si ripercuoterebbe anche sulla salute delle imprese. Tuttavia, la possibilità di riservare il 30% dell’investimento all’acquisto di titoli esteri e nel restante 70% comprendere anche valori mobiliari emessi da società europee che magari hanno solo una rappresentanza in Italia (su questo punto la normativa sui Pir non è sufficientemente precisa e si aspettano chiarimenti da parte delle autorità competenti), consente che una consistente frazione di portafoglio possa essere selezionata unicamente in base alle aspettative di trend senza tener conto della nazionalità dell’ente emittente.
Il rischio diversificazione è persino più remoto di quello geografico perché la limitazione all’acquisto di titoli non emessi da società quotate nell’indice Ftse Mib, è appena di un quinto del portafoglio. Di conseguenza, già l’applicazione di una selezione di titoli non focalizzata sui settori o sulle aree geografiche da parte del gestore, di per sé porta ad avere in portafoglio una quantità maggiore del 21% di azioni e obbligazioni scelte con la strategia dello “stock picking”.
In un momento di incertezza economica che disorienta il risparmiatore e di frequente lo spinge a frenare gli investimenti anche per l’esiguità dei rendimenti, i Pir dovrebbero riscuotere senza riserve il favore della clientela retail. Se poi questi risparmi, che dovranno soprattutto finanziare delle imprese nazionali povere di capitale, ma innovative, dinamiche e con elevati potenziali di crescita, contribuiranno anche al rilancio dell’economia italiana, allora non si può che sperare nel pieno successo di questi prodotti.