Autore: prof. CARRANO Salvatore
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“La politica monetaria della Bce non è il fattore principale per la bassa redditività delle banche” e i motivi degli scarsi profitti sarebbero piuttosto da ricercare in “Una bassa efficienza operativa”. Le parole virgolettate sono di Mario Draghi, presidente della Bce, pronunciate il mese scorso davanti al Bundestag tedesco a discolpa di qualche critica di troppo, ricevuta per aver messo in crisi la redditività delle banche europee, e della Germania in particolare, con la politica dei bassi tassi di interesse.
Quando per ottenere un prodotto o per offrire un servizio si spende più di quanto si potrebbe, allora un’impresa sta operando con una bassa efficienza e, i costi esorbitanti per i troppi bancari che potrebbero essere sostituiti da funzionali e convenienti macchine “istruite” per compiere le operazioni standardizzate e in remoto; come pure le tante, piccole e dispendiose filiali sparse ovunque nel territorio che accolgono sempre meno visite agli sportelli, sono per le banche sintomi inequivocabili di bassa efficienza. Non si può che convenire.
Draghi, però, imputa alla politica monetaria della Bce comunque delle responsabilità altrimenti si sarebbe totalmente scagionato affermando che “La politica monetaria della Bce non ha colpe per la bassa redditività delle banche”. Il numero uno della Bce non è persona che pecca in comunicazione efficace, evidentemente è ben consapevole che la cura dei tassi bassi ha portato sicuramente beneficio all’economia dell’Unione, ma ha anche provocato degli effetti collaterali indesiderati. Succede sempre così. Quando curi un male e ne ottieni la guarigione, non hai più motivo di preoccuparti di qualcosa che ormai non ti provoca nessuna sofferenza, ma se la medicina che hai preso ti ha causato dei disturbi, quelli ora sono il male e di loro ti devi occupare. E adesso, e in particolar modo per i tedeschi che sono più degli altri guariti dalla crisi, gli effetti collaterali provocati dalla cura dei tassi bassi, sono il male da contrastare. I “mali minori”, perfino indolori fino a qualche mese fa, ora sono insopportabili o almeno talmente fastidiosi da esigerne un pronto intervento.
L’effetto collaterale più nocivo e contestato, provocato dalla cura dei tassi bassi, è sicuramente il crollo dei margini di profitto delle banche nelle operazioni di intermediazione. I costi sproporzionati, da soli, assottigliano i profitti, accoppiati a magri ricavi, producono perdite. E diverse banche europee stentano da qualche tempo a generare utili.
Capita, a volte, che un accadimento o una circostanza sveli dei disagi che covano nascosti. Le banche, addirittura prima della crisi, covavano il complesso della redditività e la cura dei tassi bassi, in Europa, lo ha reso manifesto. Il fallimento della Lehman Brothers, in definitiva è da imputare alla difficoltà degli istituti di credito americani di produrre redditi soddisfacenti con le tradizionali operazioni bancarie. I vertici della banca, allora, si inventarono mutui ad altissimo rischio d’insolvenza e derivati “senza sottostante” e alla fine il “niente” venne fuori. I subprime persero ogni valore e miliardi di dollari di prestiti non restituiti si trasformarono in quell’enorme debito che provocò la chiusura definitiva della quarta banca d’affari americana. E se non ci fosse stata la politica del “too big to fail”, di fallimenti ce ne sarebbero stati altri e perfino più clamorosi, ma qualche migliaio di miliardi di dollari stanziato dal Tesoro statunitense ne scongiurò la rovinosa eventualità.
In Europa le cose succedono dopo e arrivano, come i tornado, quando cominciano a perdere la loro forza e forse per questo non ci vorranno cifre esorbitanti per aiutare le banche in difficoltà a risanare i bilanci. È bene però ribadirlo senza mezzi termini, in mancanza degli aiuti economici dei rispettivi governi, diverse banche del vecchio continente rischiano il fallimento, Deutsche Bank in testa.
Lo statuire e il perdurare dei tassi bassi di interesse hanno anche reso i risparmiatori un po’ più poveri e non pochi problemi hanno creato al rendimento dei fondi, in particolare a quelli pensionistici. E quando, a breve e come si prospetta, i tassi riprenderanno a salire, si manifesteranno altri inconvenienti finanziari legati alle difficoltà di smobilizzare dei titoli che più nessuno vorrà comprare perché svantaggiosi. Verranno fuori le controindicazioni correlate all’aumento dei tassi di interesse e, per le autorità creditizie, potrà essere “ordinaria amministrazione” affrontarli a patto di avere un sistema bancario efficiente e risanato. Sarà tutt’altro che agevole, invece, fronteggiare problemi ordinari e ricorrenti di gestione del risparmio e finanziamenti con un settore creditizio improduttivo, inefficiente ed esageratamente costoso.