Autore: prof. CARRANO Salvatore
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Qualche anno fa diversi opinionisti economici imputavano all’euro gravi responsabilità del perdurare e dell’aggravarsi della crisi finanziaria. Pensai così di esprimere il mio parere e nel luglio 2012, ebbi a scrivere: “La moneta unica contribuisce da sola (o quasi) al rafforzamento dell’Ue. …. quel minimo di integrazione europea che si è avuta è avvenuta con l’economia e non con la politica”. Ora non voglio scrivere ancora dell’euro, ma una casuale lettura del “Five Presidents’ Report”, pubblicato l’anno scorso, mi offre lo spunto per rilanciare un’osservazione al mancato compito della politica nella costruzione dell’Europa unita.
La relazione di Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea, in stretta collaborazione con Donald Tusk, Martin Schulz, Jeroen Dijsselbloem, e Mario Draghi, rispettivamente presidenti del Consiglio europeo, del Parlamento europeo, dell’Eurogruppo e della Bce, inizia con una definizione che dà immediatamente l’idea di quanto ci sia ancora da costruire e unificare per considerare l’Europa uno stato. “L’Unione economica e monetaria (UEM) assomiglia oggi ad una casa costruita nel corso di decenni ma solo parzialmente completata, di cui si sono dovuti stabilizzare in fretta e furia pareti e tetto quando è scoppiata la tempesta”.
La tempesta è la crisi finanziaria che, partita dagli USA, ha investito violentemente, ma non tutti nella stessa misura, i paesi dell’UE. E si sa che fondamenta stabili e mura robuste consentono una maggiore resistenza ai fenomeni avversi. Ma l’Europa è ancora troppo fragile, ne sono coscienti anche i cinque presidenti e, proprio per questo, nel documento promettono che “È ormai giunto il momento di rafforzarne le fondamenta e di trasformarla in quello che l’UEM avrebbe dovuto essere: un luogo di prosperità, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, un’economia sociale di mercato competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale. Per raggiungere questo risultato dovremo adottare ulteriori misure al fine di completare l’UEM”. L’Europa è anche troppo fragile a causa delle divergenze che continuano a persistere nella zona euro. Occorre, secondo i redattori del documento, intervenire, e anche con tempestività, “su quattro fronti: in primo luogo, verso un’Unione economica autentica che assicuri che ciascuna economia abbia le caratteristiche strutturali per prosperare nell’Unione monetaria. In secondo luogo, verso un’Unione finanziaria che garantisca l’integrità della nostra moneta in tutta l’Unione monetaria e accresca la condivisione dei rischi con il settore privato. Ciò significa completare l’Unione bancaria e accelerare l’Unione dei mercati dei capitali. In terzo luogo, verso un’Unione di bilancio che garantisca sia la sostenibilità che la stabilizzazione del bilancio. E, infine, verso un’Unione politica che ponga le basi di tutto ciò che precede attraverso un autentico controllo democratico, la legittimità e il rafforzamento istituzionale”.
L’intervento sul fronte finanziario include anche il completamento dell’unione bancaria attraverso delle misure intese a regolamentare uniformemente “il risanamento e la risoluzione delle banche da parte di tutti gli stati membri”.
Attualmente, il settore bancario e, in particolar modo quello italiano, soffre l’adattamento “all’innovazione dirompente” e l’enorme massa dei crediti deteriorati, l’inappagante redditività e l’eccessivo utilizzo del lavoro umano nelle mansioni ripetitive, rendono le banche più vulnerabili agli attacchi delle imprese fintech. La crisi finanziaria, poi, rischia, qualora non ci siano interventi efficienti e risolutori, di dare il definitivo colpo di grazia a un settore trascurato nelle riforme e spesso munto dalla politica.
All’inizio della crisi molti commentatori accreditati sostenevano che le banche italiane erano solide, adeguatamente capitalizzate e perciò avrebbero ben sopportato i minacciosi effetti della crisi.
E allora, se a inizio crisi le banche italiane erano sane e performanti, mentre adesso l’intero settore attraversa un momento congiunturale, per dirla con un eufemismo, non certo favorevole, è evidente che la crisi le ha quanto meno indebolite. E per quali motivi?
· Forse che i provvedimenti anticrisi adottati dai governi o dalle autorità monetarie sono stati inadeguati, inefficaci o addirittura controproducenti? Es. la cura dei tassi bassi.
· Credito alla produzione e al consumo finanziati dalle banche hanno generato sofferenze a causa del perdurare della crisi che ha ridotto la capacità di spesa delle famiglie, quindi i consumi, e costretto molte imprese a chiudere o ridimensionare la produzione per carenza di ricavi nelle vendite?
· Gli attacchi delle imprese fintech hanno contribuito a diminuire le attività svolte e i ricavi delle banche risaltandone i costi eccessivi e l’organizzazione ormai obsoleta?
Spesso si è pensato che le banche fossero il motore dell’economia e potessero essere determinanti per lo sviluppo industriale e commerciale di un paese. A quanto sembra, però, in caso di crisi, le banche subiscono pesantemente il calo dei consumi delle famiglie e la diminuzione delle vendite delle imprese. Accumulano così sofferenze e riducono impieghi e profitti. Le banche più che il motore, probabilmente sono lo specchio dell’economia e riflettono, purtroppo anche assorbendole, le dannose conseguenze delle fasi economiche depressive. “Banche sane in un’economia sana”: chissà se governi e autorità monetarie avessero polarizzato i provvedimenti anticrisi unicamente a preservare la capacità di spesa delle famiglie e a contrastare il calo dell’occupazione, in tal caso, le banche avrebbero comunque manifestato i problemi di solvibilità e redditività che ora accusano?