24 sett 2017
Autore: prof. CARRANO Salvatore
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“Siamo colpiti da un nuovo malessere (…..): la disoccupazione tecnologica. Una forma di disoccupazione causata dal fatto che scopriamo nuovi modi per risparmiare lavoro a una velocità superiore di quella alla quale scopriamo nuovi modi per impiegare il lavoro. Ma è soltanto un disallineamento temporaneo”.
È giunto il tempo che Keynes aveva prospettato nel suo breve saggio pubblicato nel 1930 “Possibilità economiche per i nostri nipoti” e questo “nuovo malessere” colpisce le banche in particolar modo.
Antony Jenkins, ex dirigente Barclays, poco più di un mese fa affermava che per le banche arriverà a breve il “Kodak moment” e anche gli istituti di credito di grandi dimensioni che ora godono di buona salute, sono destinati a estinguersi.
All’assemblea Consob del 5 maggio scorso, nel suo ultimo discorso da presidente della Commissione nazionale per le società e la Borsa, Giuseppe Vegas ha dichiarato che le banche tra qualche anno potrebbero diventare degli intermediari finanziari poco convenienti ed essere sostituite dalle imprese fintech nei finanziamenti alla produzione e al consumo.
Giulio Tremonti, ex ministro delle finanze, in un’intervista del mese scorso ha allertato il settore bancario affermando che in autunno potrebbe scoppiare una nuova e violenta crisi finanziaria generata dai sistemi di pagamento e dalla moneta digitale.
A inizio mese, l’ad della Deutsche Bank, John Cryan, ha annunciato che nella sua banca i robot sostituiranno i dipendenti che compiono operazioni meccaniche e ripetitive.
Circa un anno fa Ennio Doris, presidente di Mediolanum, affermava che le banche avranno la stessa sorte delle cabine telefoniche: dovranno essere rimosse perché più nessuno ci entra.
E con una ricerca mirata sulla rete, le notizie che riportano previsioni catastrofiche, o quanto meno minacciose, sul futuro delle imprese bancarie abbondano e, se se ne parla tanto, qualcosa di vero pure ci sarà.
C’è di vero che l’automazione cancella dei compiti prima eseguiti dal lavoro umano. Nel caso specifico delle banche, le operazioni più comuni compiute allo sportello negli ultimi anni sono calate di ben oltre il 50%. E se in passato i clienti si recavano mediamente in banca almeno due volte al mese, a oggi la frequenza è bruscamente scesa a non oltre tre volte per anno.
C’è di vero, ancora, che negli ultimi dieci anni nel settore bancario si sono persi 50 mila posti di lavoro e nel prossimo quinquennio più di centomila dipendenti, soprattutto sportellisti, dovranno trovarsi una nuova occupazione. E poi, ed è la cosa più grave, non si intravedono prospettive. O almeno, non c’è un piano d’azione comune, elaborato dai diversi management, che dia qualche garanzia di rilancio del settore. Per limitare i disagi derivanti dall’esiguità dei profitti, molti amministratori ricorrono alla riduzione dei costi del personale e chiudono le filiali con meno clienti, ma è solo provvedimento tampone che consentirà di sopravvivere qualche anno o fino a quando le agguerrite imprese fintech non avranno completato il processo di “disruptive innovation”. E allora non ci sarà ottimizzazione che tenga, le banche e i loro tradizionali prodotti saranno fuori mercato.
Già ora, una percentuale superiore al 40% degli utenti preferisce gli strumenti digitali alle operazioni compiute tramite operatore nelle sedi fisiche, ma, appena i Millennials diventeranno la generazione di riferimento per l’utilizzo dei servizi bancari, il mobile banking soppianterà completamente il modo tradizionale di fare banca. Crowdfunding per la raccolta di piccoli capitali dal pubblico dei risparmiatori al posto delle tradizionali operazioni di raccolta fondi praticata dalle banche e peer-to-peer lending per i finanziamenti concessi da privati a privati o a imprese che rimpiazzano le operazioni di impiego fondi. La gestione del risparmio su basi algoritmiche (robo-advisor) che sostituisce le gestioni patrimoniali oppure l’e-payment e i trasferimenti di valuta digitale che pensionano sistemi di regolamento complicati e costosi e ridimensionano fortemente il ricorso ai bonifici. Oltretutto, le imprese fintech sono più veloci nelle decisioni, più efficienti nell’analisi operativa e, per l’assenza dei costi delle filiali, sono per gli utenti meno onerose nelle prestazioni.
Della riduzione dei costi e della rapidità ed efficienza del servizio ne beneficiano le imprese che ricevono tempestivamente e agevolmente la liquidità immediata necessaria a svolgere l’attività produttiva.
Sembrerebbe un processo inarrestabile, senza soluzione e destinato a concludersi con la scomparsa delle banche come enti di intermediazione finanziaria. Ci sono effettivamente dei presupposti e anche delle autorevoli previsioni che lasciano presagire un travolgimento delle banche per opera della “disruptive innovation” e questa ipotesi ha tante più possibilità di concretizzarsi quanto più le banche continueranno a pensare di poter risolvere i problemi che oggi avvertono. Il convincimento di poter risollevare il settore bancario riproponendo un miglioramento dello stesso modello di business finora utilizzato è pura utopia. Le banche dovranno pensare oltre, prendere coscienza della situazione attuale, accettarla e, anticipando le esigenze degli utenti, trasformare la minaccia in corso in un’opportunità che consentirà alle aziende di credito di avere un futuro. Naturalmente, e tornando all’incipit dell’articolo, la temporaneità del disallineamento non potrà mai significare che saranno recuperati quei posti di lavoro perduti per riutilizzarli nelle stesse mansioni lavorative; sarà impossibile. Se però le banche sapranno uscire dal loro isolamento, se utilizzeranno le risorse non per migliorare i tradizionali servizi ma le impiegheranno per lo sviluppo di nuovi prodotti, allora, come alcuni economisti sostengono che il nuovo lavoro nasce dove c’è innovazione, per l’occupazione nel settore bancario c’è da ben sperare.