Azzardo morale e concessione (abusiva) del credito – Marzo 2025

Marzo 2025

Autore: dr. ROMAGNOLI Cristiano
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Di Cristiano Romagnoli*

La concessione abusiva del credito è un tema di estrema e concreta attualità e con una giurisprudenza assai corposa che ha visto una crescita notevole negli ultimi anni: questo perché sia durante la fase pandemica (con garanzie pubbliche che garantivano capital saving dal 90% al 100% del valore dei prestiti) che post pandemica, l’abuso della garanzia pubblica (utilizzata spesso come unico presidio a mitigazione dei rischi) in fase di valutazione del merito creditizio, ha portato ad una non corretta allocazione dei fondi da parte degli intermediari, con inevitabili sentenze di nullità del contratto di mutuo, risarcimento del credito, ecc.

È doverosa una premessa sulle agevolazioni (di cui le garanzie rappresentano una parte): al netto della disciplina specifica di ogni strumento (gestiti tramite apposite convenzioni come quella tra Ministero delle Imprese e del Made in Italy e Mediocredito Centrale per la gestione del Fondo di Garanzia PMI), queste sono trattate anche nel D.lgs. 385 del 15 settembre 1993, conosciuto nella prassi come Testo Unico Bancario, e nella fattispecie all’interno del Titolo II (Banche), Capo VI (Norme relative a particolari operazioni di credito), Sezione III (Altre operazioni), all’art. 47 (Finanziamenti agevolati e gestione di fondi pubblici), il quale recita: “Tutte le banche possono erogare finanziamenti o prestare servizi previsti dalle vigenti leggi di agevolazione, purché essi siano regolati da contratto con l’amministrazione pubblica competente e rientrino tra le attività che le banche possono svolgere in via ordinaria. Ai finanziamenti si applicano integralmente le disposizioni delle leggi di agevolazione, ivi comprese quelle relative alle misure fiscali e tariffarie e ai privilegi di procedura”.

Seppur il legislatore dedichi dunque un solo articolo ai finanziamenti agevolati, è doveroso evidenziare come lo stesso abbia avuto la necessità e l’interesse di dover specificare e trattare l’aspetto, visti gli inevitabili legami dell’attività bancaria con la finanza pubblica e ribadendo come questa debba essere trattata da apposite norme e contratti (vista la sua rilevanza), tanto da evidenziare al comma 2 che: “I contratti indicano criteri e modalità idonei a superare il conflitto di interessi tra la gestione dei fondi e l’attività svolta per proprio conto dalle banche; a tal fine possono essere istituiti organi distinti preposti all’assunzione delle deliberazioni in materia agevolativa e separate contabilità”.

Il “sistema di garanzia pubblica nazionale” è oggi composto principalmente da quattro players:

  • Fondo di Garanzia PMI (L. 662/96), lo strumento agevolativo con anzianità quasi trentennale, molto conosciuto e probabilmente il più utilizzato;
  • Istituto per il Mercato Agricolo Alimentare (ISMEA), dedicate alle imprese del settore primario;
  • SACE, con le sue garanzie quali Archimede, Futuro, ecc.;
  • Cassa Depositi e Prestiti (che opera come organismo di “secondo livello”, rilasciando garanzie e operando in regime di controgaranzia con organismi europei, quali il FEI ad esempio).

L’ampio utilizzo di tali garanzie, soprattutto dallo scoppio della pandemia di Covid19, ha inoltre stimolato il regolatore pubblico nel creare una vera e propria task force per la corretta gestione delle misure di liquidità e composta da:

  • Ministero dell’Economia e delle Finanze;
  • Ministero dello Sviluppo Economico;
  • Banca d’Italia – Eurosistema;
  • Mediocredito Centrale (in qualità di ente gestore del Fondo di Garanzia PMI);
  • SACE;
  • Associazione Bancaria Italiana.

La garanzia del Fondo di Garanzia in particolare è quella che ha visto un ampio utilizzo e le maggiori pronunce giurisprudenziali, pertanto il termine “garanzia pubblica” utilizzato d’ora in avanti farà riferimento proprio alla garanzia disciplinata dalla Legge n. 662 del 23 dicembre 1996.

Fatta salva la premessa e tornando all’intermediario, questo, nell’esercizio della sua attività caratteristica, è chiamato ad operare secondo la diligenza del buon padre di famiglia (ovvero applicando la “diligenza del buon banchiere”) ex art. 1176 Codice civile; ciò vuol dire, nella prassi, che lo stesso deve allocare il credito (ovvero il capitale) verso soggetti meritevoli ed evitando l’assunzione di rischi non remunerativi (e mitigando così perdite e dissesti).

La banca, nell’individuare i soggetti oggettivamente meritevoli, si scontra quotidianamente col fenomeno delle “asimmetrie informative”, ovvero quella situazione in cui i soggetti partecipanti di un contratto non hanno informazioni complete. Se dal lato della “raccolta” non si incontrano particolari difficoltà nella risoluzione delle suddette asimmetrie (se non i sacrosanti adempimenti KYC/AML ai quali è tenuta la banca), è dal lato degli “impieghi” che si hanno maggiori difficoltà nei casi di:

  • Selezione avversa (asimmetria ex ante);
  • Azzardo morale (asimmetria ex post).

Il richiedente fondi è infatti in una posizione di vantaggio rispetto alla banca, poiché conosce in modo più dettagliato (rispetto a quest’ultima) il bene oggetto di finanziamento e potendo scegliere (almeno in linea teorica) da un’ampia platea di istituti potenziali; il prestatore è invece chiamato a documentarsi compiutamente e profondamente sul progetto da finanziarie, al fine di minimizzare i rischi ed allocando correttamente il capitale (certo, a differenza del montante che è invece incerto).

È qui però che si inserisce la garanzia pubblica, ormai ampiamente utilizzata dagli intermediari ai fini del capital saving e come mitigatore del rischio di credito, tanto per finalità di “generica liquidità” quanto per “investimenti”, con una normativa ben specifica e dei fondi derivanti dal bilancio pubblico (e che vanno allocati in modo pareto – efficiente).

Quanto al corretto utilizzo dei fondi pubblici (di cui le garanzie fanno parte), risulta essere particolarmente interessante l’art. 316-ter del Codice penale, il quale recita testualmente: “Salvo che il fatto  costituisca  il  reato  previsto  dall’articolo 640-bis,  chiunque  mediante  l’utilizzo  o   la   presentazione   di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute, consegue  indebitamente, per se o per altri, contributi,  finanziamenti,  mutui  agevolati  o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate,  concessi  o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalla Comunità Europea è punito con la reclusione da sei mesi a  tre  anni. La pena è della reclusione da uno a quattro anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso della sua qualità o dei suoi poteri.”.

Appurato quanto sopra (e che tornerà utile nel proseguo), a detta dello scrivente, si configurano almeno due tipologie di azzardo morale (simultanee o alternative) dal lato del prenditore, il quale potrebbe:

  1. ottenere il suddetto finanziamento (con garanzia pubblica) presentando documentazione non corrispondente al reale stato di salute dell’impresa richiedente (qui risiede la diligenza del buon banchiere nella corretta istruttoria) e/o
  2. distrarre i fondi erogati per l’acquisto di un bene strumentale, destinandoli invece al pagamento di poste correnti, come da esempio il pagamento anticipato di merce al fine di godere di uno sconto extra (una fattispecie più volte praticata e facilmente individuabile dalla banca, tramite il monitoraggio della movimentazione dei conti della tesoreria aziendale), e dunque con un utilizzo non coerente con l’attività svolta.

e parimenti almeno due tipologie di azzardo morale dal lato del prestatore, il quale potrebbe:

  1. concedere una provvista per investimenti (godendo di una maggior percentuale di garanzia) ed utilizzarla invece per un consolidamento di passività propria non già garantita (fattispecie vietata) o di terzi;
  2. rilasciare la provvista (a prescindere dalla finalità) al solo scopo di beneficiare della garanzia pubblica in caso di default della società richiedente (il caso più grave, oggetto della giurisprudenza menzionata in apertura).

Venendo in particolare allo strumento offerto dal Fondo di Garanzia PMI, le sue Disposizioni Operative (Parte VII, lettere A e B) vengono in aiuto, indicando le cause e i procedimenti di inefficacia della garanzia, tra cui:

  1. insussistenza dei requisiti di ammissibilità del beneficiario finale alla data di presentazione;
  2. mancata comunicazione al Fondo degli eventi di rischio;
  3. mancato perfezionamento dell’operazione entro i termini previsti;
  4. varie ed eventuali.

Particolare rilevanza è da attribuirsi al punto di cui alla lettera a), ovvero l’insussistenza dei requisiti di ammissibilità, il quale porta inevitabilmente a porsi una domanda: è ipotizzabile il configurarsi del reato di cui all’art. 316-ter, nel caso in cui quei requisiti inizialmente dichiarati (a mezzo di documenti falsi o attestanti cose non vere) non corrispondano al vero e siano frutto di dichiarazione mendace? Non avendo un’adeguata formazione giurisprudenziale e lasciando a legali ben più qualificati dello scrivente fornire interpretazioni, è comunque verosimile supporre:

  • per il richiedente l’indebita percezione di fondi pubblici, ottenuta grazie a documenti non corrispondenti al vero (e dunque il concretizzarsi del reato ex art. 316-ter sopra menzionato), unitamente alla revoca dell’agevolazione (e l’eventuale inefficacia della garanzia, ma solo nel caso in cui venga dimostrata la mancanza di diligenza professionale);
  • per il prestatore, i maggiori accantonamenti derivanti dalla revoca della garanzia per i motivi sopradetti (unitamente ai rilievi effettuati dall’Autorità di Vigilanza in sede d’eventuale attività ispettiva).

Tornando alla giurisprudenza iniziale e alla legislazione introdotta dal Codice della Crisi, è doveroso chiedersi “Cosa accade alla garanzia rilasciata sul finanziamento dell’impresa che entra in default e quale/i reato/i si configurano?”; la risposta può essere rintracciata (anche) nelle tre recentissime sentenze, di cui una della Suprema Corte, le quali configurano la fattispecie di Concessione abusiva di credito:

  • Suprema Corte (Sentenza n. 26248 del 8.10.2024), la quale afferma la nullità del contratto di mutuo (per contrarietà a norme operative di carattere penale) per inadeguata valutazione del merito creditizio;
  • Tribunale di Napoli (Sentenza n. 381 del 27.12.2024), con obbligo risarcimento danni da parte della banca nel caso in cui questa dovesse erogare credito (sfruttando la garanzia pubblica) ad un soggetto incapace di rimborsare ed al fine di consolidare una propria esposizione, sfruttando la garanzia pubblica;
  • Tribunale di Piacenza (Sentenza del 8.1.2025), il quale ha rigettato l’opposizione allo stato passivo promossa da un intermediario, sul presupposto che il finanziamento, garantito MCC, era stato erogato in violazione della prudente valutazione del merito creditizio e quindi da ritenersi nullo.

Secondo la giurisprudenza, il banchiere che opera in assenza della buona diligenza caratteristica e concede credito per la sola presenza di un collateral, ritarda il dissesto (già conclamato e desumibile da una corretta analisi del merito creditizio) dell’impresa e incorrendo:

  • Nell’impossibilità di insinuarsi al passivo in caso di procedura;
  • Nella nullità del mutuo;
  • Nel pagamento delle spese e al risarcimento;
  • Nell’inefficacia e nella revoca della garanzia (come previsto dalla Parte VII, lettere A e B delle Disposizioni Operative già menzionate) nonché l’obbligo dell’intermediario di stanziare adeguato capitale a copertura.

Nel caso in cui l’Autorità di Vigilanza, o alternativamente il tribunale, dovessero evidenziare l’assenza della diligenza professionale richiesta (o peggio individuando profili di dolo/colpa grave), la garanzia risulta inefficace, lo Stato non subisce perdita alcuna e gli oneri civili, penali e amministrativi ricadono in capo all’istituto finanziatore.

In aggiunta a quanto sopra, è doveroso evidenziare alcuni profili di criticità (inevitabilmente collegati alla concessione abusiva del credito) tanto per il richiedente:

  • la violazione del postulato della prudenza (e degli altri) dell’OIC 11, qualora l’amministratore proceda ad una sopravvalutazione delle reali poste di ricavi (OIC 34) e crediti (OIC 15), al fine di presentare la società come “in bonis” per ottenere credito (e ricordando che fare “earnings management for income increasing” sia in palese contrasto proprio col principio della prudenza in primis);
  • la violazione del postulato di cui sopra comporta il falso in bilancio e dunque il reato di bancarotta (come evidenziato nella Sentenza 7816/25 della Suprema Corte);

quanto per il prestatore:

  • violazione ex art. 5 TUB, poiché la concessione abusiva di credito è in palese contrasto con la sana e prudente gestione dell’intermediario;
  • violazione ex art. 53 TUB, poiché la concessione abusiva di credito espone inevitabilmente ad inadeguatezza patrimoniale e viola il contenimento del rischio;
  • violazione ex art. 120-undecis e 124-bis TUB sulla valutazione del merito creditizio (disciplinati pedissequamente dall’Autorità di Vigilanza);
  • violazione ex art. 137 TUB comma 2 nel caso in cui non vengano segnalate dati falsi o vengano omesse informazioni rilevanti ai fini della concessione
  • violazione della Circolare n. 285 del 2013 emanata da Banca d’Italia, in merito alla gestione dei rischi ed al sistema dei controlli interni (i quali devono vigilare sulla sana e prudente e gestione dell’intermediario, evidenziare difformità rispetto a quanto previsto dall’Autorità di Vigilanza e segnalando opportunamente agli organi preposti);
  • violazione delle Linee Guida di Origination e Monitoraggio emanate da European Banking Authority, in merito alla valutazione del merito creditizio (evidentemente assente poiché, diversamente, non vi sarebbe concessione abusiva);

Arrivati qui è lecito chiedersi: qual è il fil rouge delle sentenze? Risposta: la diligenza (assente) del buon banchiere, ovvero del buon padre di famiglia, che deve operare sempre per garantire la sana e prudente gestione dell’intermediario.

Ma come declinare nel pratico questa diligenza? Con una sana e approfondita istruttoria creditizia, utile a comprendere la reale capacità di esdebito della richiedente; un’analisi retrospettica (ovvero una cartina al tornasole del comportamento tenuto fino ad oggi dalla richiedente) ma anche e soprattutto prospettica (per comprendere realmente l’obiettivo aziendale) e con una collection documentale che sia il più corposa possibile.

Quanto all’analisi backward looking, questa non deve essere una mera ricognizione asettica di documentazione contabile, ma un’analisi compiuta ed organica di un compendio documentale composto almeno da:

  • visura camerale recente (non più vecchia di sei mesi);
  • ultimi tre fascicoli di bilancio completi, se possibile delle relazioni del revisore e dell’organo amministrativo (unita eventualmente ai bilanci contabili), con dei kpi che denotino lo stato di salute della società sotto i profili di solidità patrimoniale, economico e finanziaria, nonché la capacità di restituire flussi utili all’esdebito;
  • situazione provvisoria il più aggiornata possibile, al fine di comprendere le performances in corso d’anno.
  • un quadro esaustivo dei rapporti bancari, con indicate le forme tecniche, le durate, le date di concessione, il rapporto accordato/utilizzato, nonché i residui dei rapporti rateali ed ogni altra informazione utile;
  • un quadro riassuntivo dell’esposizione vero erario e previdenza, nonché i piani di ammortamento delle eventuali rateizzazioni in essere con l’Amministrazione Finanziaria, le copie degli F24 dei regolari pagamenti, DURC e DURF;
  • almeno un Sistema d’Informazione Creditizia;
  • elenco degli estratti conto, con relativa movimentazione semestrale/annuale;
  • eventuale organigramma aziendale dal quale evincere assetto proprietario e la struttura aziendale;
  • analisi della Centrale Rischi, per tutte le forme tecniche e le esposizioni segnalate regolarmente dagli intermediari, con orizzonte temporale di almeno 12 mesi (fino ad un massimo di 36 mesi), in particolare degli insoluti/non pagati (al fine di comprendere l’effettiva bontà del portafoglio) e l’eventuale polizza crediti stipulata con la compagnia assicurativa;
  • ogni altra informazione utile ai fini della puntuale valutazione del merito della richiedente fondi e dunque una fase preparativa per l’analisi prospettica successiva (e fondamentale).

Quanto all’analisi forward looking, in linea con quanto richiesto dalla normativa, l’elemento cardine è il business plan, possibilmente di orizzonte quadriennale/quinquennale; questo è senza dubbio il documento centrale della valutazione, poiché declina gli obiettivi futuri in termini di solidità, redditività e liquidità che l’azienda vuole raggiungere, nonché delle leve dei mezzi utili al raggiungimento degli obiettivi stessi. Un piano che, nella prassi, va adeguatamente sottoposto a sensitivity analisys, al fine di evidenziare i potenziali scenari (best/worst) secondo la logica del “what if” e dunque comprendere punti di forza debolezza del sistema azienda e del suo progetto, e se questa sia effettivamente in grado di creare valore, adempiere alle obbligazioni e, in sintesi, crescere in modo sano ed organico.

CONCLUSIONI

Arrivati a questo punto è possibile affermare come tutti gli attori della filiera (banche, imprese e professionisti), abbiano la necessità di ricomprendere il significato dei collaterals (a prescindere dalla loro natura pubblica/privata), ovvero mitigatori del rischio di credito, e ritornando ad operare con la diligenza del buon padre di famiglia.

Gli intermediari finanziari devono operare secondo la diligenza del buon banchiere nel valutare le richiedenti ed i loro progetti, con una collection documentale corposa e un’analisi retro/prospettica di business model e numeriche per comprendere la bontà del sistema azienda e la sua capacità di creazione del valore e di restituzione del debito; evitare inoltre utilizzi poco ortodossi della garanzia pubblica per coprire posizioni “poco stabili” ma piuttosto stanziare l’adeguato capitale sulla potenziale perdita (evitando riflessi civili, penali ed esternalità negative già menzionate).

Le imprese devono dar vita a modelli di business sostenibili e capaci di creare EVA (cd. Economic Value Added) sul lungo termine, piuttosto che zombie companies opache e poco trasparenti nel rapporto banca – impresa e diffidando da intermediari che propongono istruttorie “facili e veloci” e con compendi documentali che deficitano dei fondamentali;

I professionisti devono assistere in modo organico le imprese, non con modalità “spot” finalizzate al reperimento di una provvista singola, ma piuttosto comprendere le reali dinamiche aziendali, i suoi cicli produttivi-economici-monetari e creando piani sostenibili tanto nel breve quanto nel lungo termine.

*“i contenuti sono riferibili unicamente all’autore ed esprimono la sua personale opinione  al 22/02/2025, non costituiscono alcuna raccomandazione d’investimento e non impegnano le società e istituzioni di appartenenza”

* Socio AnalisiBanka e esperto di credito corporate

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