Recenti Crisi Bancarie ed il ruolo dei risparmiatori
Dicembre, 2015
Autore: dr GHISELLI Fabio
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Recenti Crisi Bancarie ed il ruolo dei risparmiatori
La “risoluzione” (fallimento) delle quattro banche – Banca delle Marche, Banca dell’Etruria, Cassa di Risparmio di Chieti e Cassa di Risparmio di Ferrara – ha coinvolto 150.000 risparmiatori, di cui circa 10.500 detentori di obbligazioni subordinate per un valore di 340 milioni di euro, e provocato il suicidio, a Civitavecchia, di un cliente di una delle banche.
Se per le prime tre, la causa del dissesto sembra essere un ammontare non più sostenibile di crediti deteriorati erogati senza una corretta analisi del rischio, per la CariFerrara il buco sembra essersi generato da investimenti immobiliari scarsamente redditizi condotti attraverso la Sgr Vegagest.
Come è noto, domenica pomeriggio il CdM ha approvato in tutta fretta un piano di salvataggio delle quattro banche in crisi, c.d. “salva banche”, secondo le nuove disposizioni del D.Lgs. 16.11.2015, n. 180, in vigore dal 16.11.2015, attuativo della Direttiva sul risanamento e la risoluzione delle banche (c.d. “Brrd”), 2014/59/UE del 15.5.2014.
L’intervento condotto tramite il Fondo di Risoluzione previsto dalla direttiva UE, per un valore di circa 3,5 miliardi di euro, prevede la creazione di quattro nuove banche c.d. “ponte” (bridge bank) (1) costituite e gestite dal Fondo e coordinate dalla Banca d’Italia, tramite appositi commissari che assumeranno “ i poteri degli azionisti, dei titolari di altre partecipazioni e dell’organo di amministrazione promuovendo e adottando le misure necessarie per conseguire gli effetti della risoluzione”. In queste banche saranno conferiti tutti gli assets sani che saranno venduti sul mercato. Contemporaneamente verrà creata una sola “bad bank” nella quale saranno conferiti i crediti deteriorati allo scopo di gestirne la liquidazione in tempi congrui e ragionevoli.
Il Fondo è finanziato, ordinariamente, da tutto il sistema bancario attraverso un contributo annuo, ma per questa operazione i fondi saranno anticipati, essenzialmente, da un contributo a lungo termine fornito da tre banche italiane di primaria importanza, Unicredit, Intesa Sanpaolo e UBI, che rientreranno dell’esborso finanziario con la cessione degli assets sani e dei crediti deteriorati (2).
Inoltre, il progressivo deterioramento della situazione sul fronte politico e sociale pienamente rappresentata dagli organi di informazione, ha indotto il Governo a prevedere, con un emendamento al disegno di legge di stabilità 2016, la creazione di un fondo finanziato dal sistema bancario e in parte dallo Stato (con fondi diretti o con garanzie) (3), allo scopo di garantire un parziale rimborso del capitale andato in fumo, ai sottoscrittori di obbligazioni subordinate. Parziale perché a fronte di una perdita complessiva di 340 milioni di euro, lo stanziamento del fondo è previsto in c.a. 100 milioni di euro. Intervento che avrebbe ottenuto preventivamente il benestare della Commissione UE che, viceversa, avrebbe bloccato l’alternativo ”aiuto umanitario” pubblico a soggetti privati come “aiuto di Stato” al sistema bancario (sic!).
Naturalmente dovranno essere definite tutte le modalità operative dell’intervento con un apposito provvedimento del MEF e, in particolare, le condizioni soggettive ed economiche che dovranno avere gli aventi diritto al rimborso e il soggetto terzo che dovrà valutarle.
Con una scelta tecnica e politica molto opportuna, il Governo ha, intanto, deciso di non affidare né alla Banca d’Italia né alla Consob il ruolo di arbitro nelle pratiche di rimborso. Anche in questo caso, come del resto in altri episodi precedenti e molto più gravi, non sono mancate polemiche sui controlli – non effettuati, effettuati o svolti in ritardo – di competenza dei due organismi di vigilanza, per cui non sarebbe stato eticamente accettabile attribuire ad essi un ruolo di qualunque genere in questa delicata vicenda.
Ma questa volta, a differenza del passato (4), la politica ha deciso anche di istituire una commissione parlamentare d’inchiesta – che potrebbe essere anche bicamerale, vista non solo la delicatezza della questione ma anche il prestigio delle due autorità di vigilanza – per verificare le responsabilità di tutti i soggetti coinvolti nella vicenda, nonché in quelle accadute negli ultimi dieci anni. Giova ricordare che a fronte della dichiarazione del Governatore della Banca d’Italia, Vincenzo Visco, secondo cui è si è “sicuri di aver fatto il meglio”, c’è la replica della politica (seppur non rivolta essenzialmente alla stessa Banca), secondo cui “chi aveva il dovere di vigilare e controllare i prodotti venduti ai risparmiatori non lo ha fatto adeguatamente” e “se ne assumerà tutte le responsabilità” (5).
Le domande sulla vicenda
Ebbene, incominciamo proprio da questo argomento avendo l’obiettivo di porci delle domande, non di esprimere giudizi e fomentare polemiche.
Lo stato di dissesto di un’azienda di credito non si crea in un anno e i segnali, impliciti o espliciti, non riescono a non manifestarsi ad una indagine un po’ accurata. E, infatti, così è stato a conclusione delle ispezioni che la Banca d’Italia ha avviato presso tutte le banche oggi coinvolte nel dissesto. Il fatto è che queste ispezioni sono state fatte nel 2010 alla Banca delle Marche, nel 2012 alla CariChieti, nel 2013 alla Banca dell’Etruria e alla CariFerrara. Addirittura gli amministratori della Banca delle Marche avrebbero omesso di inserire nel prospetto informativo richiesto dalla Consob per l’aumento di capitale di 180 milioni di euro, le conclusioni (disastrose) contenute nella lettera di fine ispezione della Banca d’Italia. Come è già stato riportato dagli organi di informazione, tutte le banche coinvolte avevano emesso prestiti subordinati.
Ma allora ci si chiede: perché dopo che dalle ispezioni della Banca centrale è emerso uno stato di crisi da grave a molto grave delle banche, qualcuno non ha avviato una verifica sul collocamento dei prestiti subordinati al fine di appurare se lo stesso sia avvenuto nei confronti di soggetti aventi un adeguato profilo di rischio secondo le norme vigenti? E’ concepibile che ciò sia mancato pur nella piena consapevolezza che già alla fine del 2013, l’ammontare delle obbligazioni subordinate emesse dalle banche con sede in Italia era pari a 61 miliardi di euro di cui ben 35 detenuti da famiglie? (6)
E possibile che la Consob non avesse avuto conoscenza delle ispezioni avviate dalla Banca d’Italia? E’ possibile che l’acquisizione di tali informazioni rilevanti sia rimessa alla sola correttezza degli amministratori coinvolti e, peraltro, dichiarati implicitamente o esplicitamente come inadeguati a ricoprire quel ruolo dalla stessa Banca centrale? In altre parole, è possibile che i due organi di controllo/vigilanza non comunichino istituzionalmente tra loro al fine di informarsi reciprocamente sull’avvio e sulle conclusioni delle ispezioni/verifiche?
Oggi si punta il dito sulla scelta dell’Unione Europea, introdotta nel nostro ordinamento dal citato D.Lgs. 180/2015, di addossare l’onere del dissesto di una banca (ovvero l’onere per superare il rischio concreto di un dissesto), nell’ordine, agli azionisti, agli obbligazionisti subordinati, ai titolari di obbligazioni e altre passività (per la banca) ammissibili, alle persone fisiche e piccole e medie imprese titolari di depositi superiori a 100.000 euro (7).
In altre parole, si tratta di fare in modo che a sopportare il costo della crisi siano i soggetti privati che hanno investito nella banca stessa, e non l’intera collettività nazionale come avverrebbe – anzi, per essere più precisi, come è avvenuto in alcuni Paesi europei – nel caso fosse lo Stato a finanziare il costo della crisi.
Personalmente non vedo come si possa essere contrari a una scelta del genere, espressiva di un principio di ragionevolezza, equità, proporzionalità ed eticità. Quindi credo che tutte le critiche rivolte a tale nuova configurazione siano prive di fondamento.
Si poteva chiedere una proroga dell’entrata in vigore delle Direttiva “Brrd”? Forse si, ma solo perché dopo il Rapporto del 2013 della Banca d’Italia citato, non si è pensato di gestire in modo adeguato il problema dei prestiti subordinati in mano alle famiglie che non avrebbero né potuto né dovuto detenere quei titoli. Se questo fosse stato fatto non ci sarebbero state le ragioni per chiedere una proroga.
Il ruolo dei managers e degli amministratori
Un considerazione non può non essere rivolta anche ai manager e agli amministratori delle banche in dissesto. Da un lato non pare possa esservi dubbio alcuno che, sulla base dei fatti e dei risultati ottenuti, si siano dimostrati del tutto inadeguati per il ruolo ricoperto. Quando il mercato “tira” e la situazione economica e finanziaria generale presenta costanti indici positivi, quasi tutti sono capaci di gestire le aziende, compreso quelle bancarie. La reale capacità professionale dei managers si misura quando si presentano le difficoltà: capacità di analisi, di individuare la strategia più adatta, di scelte tattiche e operative day by day. Il mercato, nel bene o nel male, seleziona le professionalità davvero all’altezza. Dall’altro, le remunerazioni che, ancora una volta, si sono dimostrate essere eccesive rispetto alla qualità professionale delle persone e troppo sbilanciate verso risultati di brevissimo termine, come il collocamento, appunto dei prestiti subordinati emessi dalla stessa banca, ovvero delle azioni della medesima, la cui pratica esecuzione è stata affidata, con un ordine discendente lungo la scala gerarchica, fino al funzionario dipendente delegato a interloquire con il pubblico. Infatti, già incominciano ad emergere notizie su interventi “poco qualificanti” se non illeciti (ma questo lo stabiliranno le Autorità di vigilanza e la Magistratura), di funzionari e dipendenti delle banche che avrebbero indotto tutti i clienti, anche quelli con un profilo di rischio incompatibile, a sottoscrivere prestiti subordinati o azioni della stessa banca.
Come sostenuto su un prestigioso quotidiano nazionale (8), va applicata la tolleranza zero sui reati finanziari come unico antidoto al virus della sfiducia che sta colpendo – speriamo non irrimediabilmente – il sistema bancario e quello delle istituzioni di controllo, per non dire quello della politica, europea compresa.
Lo stesso articolo ricordava come la reazione delle Autorità di alcuni altri Paesi alle sempre più numerose crisi bancarie sia stata anche quella di introdurre sanzioni che possano privare i banchieri condannati per frode, degli ultimi dieci anni di premi e stipendi, e di “persuadere” le banche ad introdurre regole di governance che prevedono di inserire nei contratti di lavoro dei dirigenti e funzionari – e aggiungeremmo degli amministratori – la revocatoria delle retribuzioni in caso di comportamenti illegali. Questo è quello che deve essere fatto al più presto anche in Italia, privilegiando la revocatoria o, forse meglio, la confisca per equivalente immediata di un importo corrispondente alle retribuzioni, in attesa del giudizio (che come è noto, nel nostro Paese non è così rapido come nei paesi anglosassoni e che potrebbe chiudersi senza un nulla di fatto a causa della enorme lunghezza dei procedimenti che si intreccia inevitabilmente con i termini di prescrizione). L’obiettivo, in sostanza, dovrebbe essere quello di far partecipare gli amministratori e i top managers al procedimento del bail in nel limite delle retribuzioni ottenute.
L’intervento dovrebbe essere deciso, senza remore, perché il rischio è quello di compromettere la fiducia verso un sistema, quello bancario, fondamentale per lo sviluppo del Paese.
La cultura finanziaria
E’ indubbio che nel nostro Paese la cultura finanziaria sia a livelli del tutto insufficienti per poter assumere decisioni di investimento autonome.
Sicuramente apprezzabili sono le iniziative della Banca d’Italia, della Consob, e di altre organizzazioni finanziarie private, di inserire nei rispettivi siti internet una sezione dedicata alle descrizioni dei prodotti finanziari, così come degne di rilievo sono le iniziative di divulgazione condotte dalle medesime nelle scuole. Ma è chiaro che queste iniziative da sole non sono sufficienti. L’intervento dovrebbe essere sistematico e condotto dal sistema pubblico di istruzione. Ma questo richiede tempo e investimenti e i risultati potranno vedersi nelle generazioni future o su quelle oggi in età scolastica. E per quelle che oggi investono i propri risparmi? La situazione non è irrimediabile: potrebbe essere attivata una campagna pubblica di divulgazione, coordinata con una modifica delle regole che preveda l’obbligo per le banche e i soggetti che diffondono titoli sul mercato di predisporre un libretto riassuntivo sulle caratteristiche e sui rischi dei titoli offerti, avendo cura di evitare tutti i termini inglesi, incomprensibili ai più, molto di moda nel mondo della finanza. Il fatto che i prospetti informativi che oggi, previa approvazione della Consob, vengono fatti sottoscrivere dai risparmiatori non sono sufficienti, anche se non viene messa in discussione la loro completezza (tanto da far ritenere che in sede di giudizio sarà molto difficile dimostrare che le banche e gli enti emittenti abbiano violato le regole di informazione e comportamento). Ma davvero pensiamo che un risparmiatore medio sia in grado di comprendere appieno tutte le informazioni ivi contenute? Per non parlare del tempo a disposizione per leggere, comprendere e valutare adeguatamente documenti di decine di pagine. Nel frattempo, anche vietare, come è stato proposto dalla Banca d’Italia, la vendita dei futuri prestiti subordinati allo sportello (9), può aiutare ad affrontare il problema ma non può che essere una soluzione temporanea: è come se, da genitori pensassimo di chiedere che venga vietata la vendita delle sigarette per evitare che i nostri figli adolescenti si avvicino al fumo! Vogliamo fare lo sforzo di renderli consapevoli ripetendo e ancora ripetendo quali rischi correrebbero fumando, soprattutto a una così giovane età?
Allo stesso modo va affrontato il problema della vendita di prodotti finanziari a rischio: chi vende deve fare lo sforzo di rendere consapevole il proprio cliente dei rischi e dei vantaggi insiti nell’investimento, perché questo fa parte del suo lavoro (oltre al fatto che contribuirebbe, nel suo piccolo, a migliorare la cultura finanziaria delle persone con cui si relaziona). E tutti, vogliamo fare anche solo il minimo sforzo per contribuire a diffondere la cultura della correttezza, della lealtà, dell’etica del e nel lavoro? Fare circolare le informazioni, la cultura finanziaria, rendere consapevoli le persone di effettuare le scelte che ritengono migliori: questo è il fine che ci si deve porre.
Se si creano le condizioni e le premesse per una scelta consapevole, i risparmiatori non avranno titolo per protestare in piazza per la perdita dei loro risparmi – se non quello di intraprendere azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori e di risarcimento dei danni subiti nelle sedi giudiziarie competenti – e la politica di predisporre azioni di salvaguardia che non sono immuni dal creare disparità di trattamento tra gli investitori privati.
Le istituzioni europee
Un ultima considerazione merita il comportamento delle istituzioni comunitarie. Da un punto di vista tecnico, francamente non si capisce come l’intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi, che è un ente di diritto privato riconosciuto dalla Banca d’Italia, ma costituito dalle banche italiane (10), possa rappresentare un aiuto dello Stato italiano alle banche in crisi. I fondi sono versati dalle stesse banche (ormai tutti soggetti privati) al Fondo che agisce come mandatario delle aziende partecipanti. Non ci sono fondi pubblici. Per questo il Fondo avrebbe potuto effettuare l’intervento in tutta sicurezza e senza provocare lo sconquasso che abbiamo tutti sotto gli occhi.
Dal punto di vista politico, le considerazioni sono due. La prima è che, alla luce dei fatti, il nostro Paese non ha nulla da imparare dai Paesi Ue ritenuti più virtuosi: “l’aiuto di Stato” fornito al Monte dei Paschi di Siena (11) non solo non ha determinato una perdita di soldi pubblici ma un guadagno rappresentato dagli interessi corrisposti dalla banca allo Stato. Lo stesso non si può dire per la Germania, per l’Olanda e per l’Austria che, per sostenere le proprie banche che hanno prestato soldi in misura indiscriminata o che hanno effettuato spericolate operazioni in derivati finite male, hanno perso centinaia di milioni di euro di soldi pubblici dei contribuenti (12).
La seconda è che l’errata interpretazione dell’intervento del Fondo da parte della tecnocrazia europea, capace solo di essere autoreferenziale, non fa altro che dare sostegno all’idea che in Europa, non solo prevalga la miopia ma anche che si applichino due pesi e due misure in funzione degli interessi via via coinvolti.
Ma, forse, questa deriva tecnocratica che, come è stato sostenuto, contribuirebbe a minare le fondamenta dell’Europa, potrebbe essere utile qualora contribuisse a migliorare la consapevolezza che questa Europa, così com’è, non serve ai cittadini, quanto meno a quelli italiani.
Note:
1) Infatti, se si visualizzano i siti internet delle banche interessate, si può vedere la nuova dicitura con l’anteposizione del termine “Nuova.” ai nomi delle banche. Anche se l’operatività effettiva dell’intervento dovrebbe esplicarsi dal 1° gennaio 2016, per effetto dell’entrata in vigore posticipata delle norme di cui al Tit. IV, Capo IV, Sez. III, del D.Lgs. 180/2016, prevista dall’art. 106 dello stesso decreto.
2) E’ previsto anche un contributo delle restanti 208 banche italiane, escluso le Banche di credito cooperativo, per il quadriennio 2015- 2018 per un totale di 2 miliardi di euro.
3) Al momento in cui è stato scritto l’articolo non erano note tutte le condizioni dell’intervento.
4) Si vedano i crack Parmalat, Cirio, Giacomelli, Finpart, ma anche le perdite sui bond argentini, Alitalia, Laveggia, Finmec, per citarne alcuni.
5) Dichiarazione dell’On. Francesco Boccia (PD) riportata dal Sole 24 Ore on line, del 11.12.2015.
6) Ciò appare ancora di più incomprensibile se si pensa che nel 2013 la stessa Banca d’Italia ha lanciato un allarme a tale riguardo nel Rapporto sulla stabilità finanziaria n. 6, pubblicato a novembre.
7) Non dobbiamo dimenticare che, al contrario, sono esclusi dal c.d “salvataggio interno” (per evitare il solito inglesismo con il quale viene definita tale situazione, ossia bail in) tutta una serie di posizioni:
- I depositi di importo fino a 100.000 euro, garantiti dal sistema di garanzia dei depositi;
- Le passività garantite, inclusi i covered bonds e altri strumenti garantiti;
- Le passività derivanti dalla detenzione di beni della clientela o in virtù di una relazione fiduciaria, come ad esempio il contenuto delle cassette di sicurezza o i titoli detenuti in un conto apposito;
- Le passività interbancarie (ad esclusione dei rapporti infragruppo) con durata originaria inferiore a 7 giorni;
- Le passività derivanti dalla partecipazione ai sistemi di pagamento con una durata residua inferiore a 7 giorni;
- I debiti verso i dipendenti, i debiti commerciali e quelli fiscali purché privilegiati dalla normativa fallimentare.
Per una trattazione sistematica delle nuove regole in discussione si veda Banca d’Italia, Che cosa cambia nella gestione delle crisi bancarie, 8 luglio 2015.
8) A. Plateroti, Non sollevare polveroni, va colpito chi ha sbagliato, in il Sole 24 ore, 11.12.2015.
9) Ma lo stesso dovrebbe valere anche per le azioni, sulle quali è arcinoto che grava il rischio di una totale perdita di capitale.
10) Per le banche italiane l’adesione è obbligatoria, mentre per le succursali italiane delle banche estere l’adesione è volontaria ed è finalizzata ad integrare la garanzia offerta dal corrispondente sistema di garanzia offerto dai rispettivi Paese di appartenenza. Sono escluse le banche di credito cooperativo.
11) Altro esempio di cattiva gestione e di scarsa professionalità dei managers e amministratori, peraltro osannati e ritenuti di successo da molti organi di stampa.
12) Si vedano le tabelle de Il Sole 24 Ore del 10.12.2015 e l’analisi di M. ferrando su Il sole 24 Ore dell’11.12.2015.